l'orto a scuola

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mercoledì 2 settembre 2015

Vita di comunità - diario di bordo

L'estate ho la possibilità di lavorare nelle Comunità per ragazzi e adulti con disabilità dell'Associazione per cui opero durante l'anno nella scuola.

Ho ripreso l'avventura anche questa estate e vorrei scrivere alcune riflessioni, una specie di diario di bordo di quest'esperienza, che è completamente diversa dal lavoro di educatore nella scuola, ma altrettanto ricca di emozioni e significati.

Non avrò il tempo di scrivere 'un romanzo', ma soltanto delle 'parole-chiave'.

nave- scuola

NAVE

Cosa c'entra la nave con una Comunità per ragazzi con disabilità????
E' una delle immagini che mi vengono in mente quando penso a quest'esperienza.
Un gruppo di ragazzi con disabilità varie, una gruppo di educatori, una casa....e parte la navigazione.
Si è costretti a vivere insieme senza essersi scelti, e nel bene e nel male, 'si mette in comune' ciò che si è con la propria storia, i propri vissuti, i propri problemi.
E insieme, ragazzi, operatori, equipe allargata (specialisti esterni), si cerca di mandare avanti la nave nel migliore dei modi, di fare un viaggio che a volte può essere molto difficile e doloroso, a volte facile ed entusiasmante.
Non sempre si sta a bordo, si scende, si risale, e non sempre quando si è a bordo si può fare una navigazione tranquilla....non è un'esperienza facile.
A me però piace questo viaggio anche se è sempre una sfida: ogni volta che salgo a bordo mi devo 'resettare', perchè i tempi della vita in comunità mi fanno rallentare (cosa che per me è molto difficile) e mi insegnano la calma, la pazienza, l'ascolto, il sapere tante cose di ogni ragazzo, che non posso scordare, come non posso dimenticare che lì non lavoro da sola, c'è un'equipe con cui confrontarsi e collaborare.

Però devo assolutamente ringraziare ragazzi e colleghi che finora mi hanno 'accolto' a lavorare con loro, perchè ho vissuto tante intense esperienze, che mi hanno fatto crescere umanamente e professionalmente! Ammiro e stimo i miei colleghi che tutto l'anno prestano servizio nelle Comunità..
Allora pronti....si parte.
Buon viaggio!!!!



VITA QUOTIDIANA

Penso che operare in modo professionale in un contesto casalingo sia veramente complicato.
Lavorare, essere competenti (unire il proprio sapere educativo con le proprie capacità) in un appartamento dove la vita è 'come quella di una famiglia' e dove il contatto stretto  tra operatori e tra operatori e utenti costringe un confronto continuo, è secondo me uno degli aspetti più delicati di questo lavoro.
Trovare un equilibrio tra ciò che si è e ciò che si fa, in una quotidianità che, alla lunga, può essere logorante, richiede una grande capacità di lavoro su se stessi e di messa in discussione degli operatori.
L'equipe può essere un'ancora di salvezza per riuscire a lavorare serenamente e con coscienza, come anche un ostacolo che può portare l'operatore al 'corto circuito'.

Penso che operare in modo professionale in un contesto casalingo sia possibile e anche molto bello, ma solo se davvero c'è una forte collaborazione tra i vari soggetti coinvolti e una forte motivazione.


 PAZIENZA

Da parte degli operatori verso i ragazzi, che sono tutti diversi e si relazionano con modalità diverse in base al loro vissuto, al loro carattere, alla loro storia...pazienza che si esprime in relazione significativa, rispetto dei tempi, ascolto, attenzione (e quando il gruppo è numeroso è davvero difficile), empatia, cura, aiuto educativo nel maturare, crescere, evolversi.
Da parte dei ragazzi verso gli operatori, che sono tutti diversi e si relazionano con modalità diverse in base al loro vissuto, alla loro formazione, al loro modo di essere e di fare.

FLESSIBILITA'
'il viaggio più bello è quello che non ho ancora fatto'
Essere flessibili è una qualità, che nella vita dà molte possibilità in più. Per un educatore, a parer mio, è una qualità essenziale per evitare di cadere in meccanismi di chiusura e fissità, deleteri soprattutto per i ragazzi..ma come si fa ad essere flessibili?
Riflettere, farsi delle domande, mettersi in discussione e saper anche prendere decisioni coraggiose, ma sempre tenendo presente il Bene dei ragazzi che aiutiamo.

COMUNICAZIONE

Costruire e sostenere una relazione significativa con persone che non comunicano a livello verbale, ma attraverso i segni, i versi, il proprio corpo, 'costringe' gli operatori a trovare strumenti e ausili affinchè la comunicazione sia facilitata.

Mi piace molto come comunica M., una ragazza che vive in comunità e che si esprime molto bene con l'E-tran, strumento che conoscevo a livello teorico ma non pratico.

Il nome "E-TRAN" nasce dalla contrazione della frase eye transfer che in inglese significa "scambio con lo sguardo". Questo termine designa un oggetto di straordinaria efficacia per amplificare le possibilità espressive utilizzando la indicazione di sguardo. 
Non esiste un solo tipo o modello di Etran, ma in generale esso è sempre costituito da un pannello trasparente sul quale sono fissati simboli, lettere o numeri. 
I materiali normalmente impiegati per costruire il pannello sono il Plexiglass e il Lexan, più resistente ai graffi. 
Si tratta di oggetti che non sono reperibili in commercio, ma vanno costruiti artigianalmente.

Come si usa
Il pannello viene posto fra la persona non parlante e il suo interlocutore.
Quando il primo guarda una lettera sul pannello, il secondo, dalla parte opposta, può vedere dove si dirigono gli occhi e l'elemento che viene indicato. La comprensione, di norma, risulta molto rapida così come gli scambi comunicativi.


etran


PERSONE

La comunità è fatta dalle persone, non dagli ambienti, dagli arredi, dall'organizzazione.
A volte gli operatori sociali sono talmente presi dai problemi, dall'organizzare tutto perfettamente che si dimenticano che al centro del lavoro ci sono le Persone, i loro bisogni reali, la loro evoluzione, il loro cuore.
La Comunità è fatta dalle Persone.

BISOGNI

Sono tanti i bisogni a cui gli operatori devono e possono rispondere per il benessere dei ragazzi.
Se ci riferiamo alla scala dei bisogni di Maslow, che è sempre molto interessante perchè lui ha studiato le persone di successo per formulare le sue teorie, classifichiamo i bisogni in questo modo:
-bisogni primari-fisiologici (mangiare, bere ecc.)
-bisogni di sicurezza/familiarità/certezza, sentirsi un minimo sicuri di sopravvivere.
-bisogni di amore e appartenenza al gruppo
-bisogni di stima e rispetto per se stessi.
-bisogno di sviluppare il proprio potenziale e crescere.

Maslow dice che se non si possono soddisfare i primi bisogni non si può soddisfare tutti gli altri, quindi li ha ordinati in modo gerarchico.

Esistono però altri tipi di bisogni degli ultimi studi più approfonditi, che fanno molto riflettere, soprattutto chi lavora nel sociale a stretto contatto con persone che hanno bisogni 'speciali'.

Il bisogno di: certezza, sicurezza
                       varietà, cose nuove (esperienze)                        
                       di sentirsi importanti
                       d'amore
                       crescita, migliorare come persone
                       contribuire.

Riflettere sui bisogni mi ha aiutato a leggere la realtà delle comunità in un modo più ampio: è molto importante cercare di rispondere a tutti i i bisogni, che s'intersecano poi con quelli degli operatori (che però nel loro agire professionale sanno distinguere, essere empatici e accettanti).
Per avere un ambiente vivo,vero e per superare i momenti difficili è sempre molto utile analizzare i bisogni e dare le migliori risposte.
Se una persona non trova risposta ai suoi bisogni vive nella frustrazione e cerca dei modi (a volte negativi) per soddisfarli, scompensando di conseguenza tutto il gruppo.
Penso a quante volte la violenza è un modo per sentirsi importanti oppure il lamentarsi in continuazione è un modo per soddisfare il bisogno d'amore.
Non sempre i ragazzi in comunità sanno esprimere in modo adeguato i loro bisogni ( che non sono capricci, vizi sono vere e proprie necessità di esistenza). Sta all'equipe saper leggere, capire, rispondere, meglio che si può per il punto in cui si è...migliorare è sempre possibile.

ALLEGRIA

In un ambiente di vita dove le persone convivono ogni giorno con la sofferenza, fisica, psicologica, esistenziale, credo che sia importante creare un ambiente 'leggero', di allegria e divertimento, dove però ci sia sempre lo spazio per la gestione seria della crisi e l'accoglienza del dolore.
Stare insieme diventa un'occasione di crescita per tutti.
Le risate stemperano anche gli ambienti più tesi.
Attraverso la relazione significativa si può 'creare Famiglia' in modo professionale...e quanto è bello osservare un operatore sorridente che fa divertire i ragazzi. 
Un operatore che sa ridere e lasciare i suoi problemi fuori dalla porta, per vestire gli 'abiti professionali' di chi sa mettersi in ascolto accogliente.
Ieri in comunità ho assistito a una scena fantastica!
L'operatore mi stava spiegando come aiutare una ragazza nell'igiene serale e nel cambio d'abito.
Le stava per mettere la maglia del pigiama rovescia e lei glielo ha fatto capire.
Lui ridendo s'è scusato dicendo che ogni tanto capita di fare degli errori di questo genere e l'importante è accorgersi. Io ho commentato con la ragazza dicendo 'Mi sa che L. ha proprio bisogno di ferie!!!Che dici D.???'
Lei ridendo mi ha detto (riesce a scandire abb bene le parole, anche se capirla non è facile) che lui è sempre così' normalmente.....e siamo scoppiati tutti in una gran risata, prendendo in giro l'operatore!!!

Secondo me la SIMPATIA dovrebbe essere una caratteristica obbligatoria degli educatori!!!



INCONTRI INASPETTATI

Ho ritrovato in comunità un ragazzo che avevo seguito a scuola per 5 anni, dalla prima media alla seconda superiore.
Quando ho cambiato scuola (lasciandolo in terza superiore) avevo sofferto molto, perchè avrei tanto voluto accompagnarlo fino al termine del percorso scolastico. Con lui ho vissuto un'esperienza scolastica e di vita straordinarie, e mi ero affezionata tantissimo a lui, come lui a  me.
A malincuore l'ho salutato, e con grande nostalgia l'ho sempre ripensato in questi anni.
Sono andata a trovarlo a scuola qualche volta, ma poi non ho più potuto rivederlo.
Mi è sempre rimasto nel cuore, con un senso di sospeso e di senso di colpa per averlo lasciato a percorso non concluso.

E' stata una grande sorpresa e un enorme regalo ritrovarlo ora in comunità. Pensavo non si ricordasse più di me...invece sono riaffiorati nomi, ricordi, emozioni di quegli anni e abbiamo trascorso insieme una domenica molto gioiosa.
Il rapporto instaurato al tempo è rimasto lo stesso e ci siamo ritrovati più grandi, ma come se il tempo non fosse passato. Abbiamo ritrovato i nostri modi di dire e di ridere, le nostre battute e occhiate.
Ho colmato un vuoto che pensavo di dover tenere nel cuore per sempre. 
Ora avremo ancora qualche giornata da trascorrere insieme.
E' meraviglioso avere prova del fatto che ciò che si semina coi i ragazzi nella professione di Educatore, rimane per sempre.....se si lavora con professionalità e con tanto amore.
E' proprio vero che a volte la vita regala delle inaspettate belle sorprese.


Crisi

Quando una persona in comunità va in crisi, tutto il gruppo ne sente il peso e la tensione.

La navigazione rallenta anche se il vento soffia forte e il cielo minaccia tempesta.

L'educatore a volte si trova a gestire situazioni molto problematiche, nelle quali deve aiutare la persona che sta male, salvaguardare il gruppo e se stesso e valutare in tempi rapidi la cosa migliore da fare, la risposta migliore da offrire.
Ci vuole coraggio, sangue freddo, ma soprattutto empatia.
Riconoscere cosa vive l'altro, sentire cosa sente l'altro rimanendo perfettamente consapevole del suo vissuto personale e delle sue emozioni, in modo che il suo sentire non venga sconvolto e confuso dal sentire dell'altro.
E' forse uno degli aspetti più difficili da capire e da mettere in pratica di questa professione.

E' però una delle capacità fondamentali dell'educatore che solo così può essere davvero un tramite, un sostegno, un aiuto nell'evoluzione dei ragazzi.

Se l'educatore si allena nel lavoro su di sè, sulla presa di coscienza dei propri vissuti e del proprio sentire, sa essere empatico e quindi sa separare ciò che sente la persona che ha di fronte e aiutarla a uscire dalla crisi.
Credo che questo sia uno degli aspetti più importanti su cui lavorare, per potersi proteggere dal burn-out.


La ricerca della soluzione....

Quando un nuovo ragazzo viene inserito in comunità si deve ricominciare tutto da capo: gli operatori, al meglio che possono, imparano a conoscerlo (come mangia, come dorme, come relazione, aspetti educativi, sanitari ecc..) e construiscono insieme a lui e a chi lo circonda, la realtà migliore per rispondere ai suoi bisogni.

Ci si confronta con la storia, le abitudini e tutto ciò che il ragazzo 'si porta' dietro....
Credo che sia importante mantenere determinate routine ma favorire anche un percorso di crescita ed evoluzione che può anche prevedere dei cambiamenti: perchè ogni tanto non chiedersi? ma questa è veramente la soluzione migliore e più funzionale per lui e per tutti?

Professionalità e sentimento

Spesso nel nostro lavoro ci si trova a far i conti con: essere professionale o essere amorevole? In comunità, dove c'è 'vita di famiglia' questa è una questione piuttosto sentita e delicata.
Credo che ci sia un'equivoco di fondo.
Essere professionali non significa essere freddi, staccati e senza cuore.
Non ce lo possiamo permettere perchè lavoriamo con le Persone, e sono persone speciali, con bisogni speciali.
La vera professionalità sta proprio nel riuscire ad essere abbastanza empatici, accettanti e in ascolto da riuscire a lavorare con le giuste distanze e il giusto coinvolgimento.
Non è assolutamente facile ma esistono delle 'bussole di orientamento': ad es. chiedersi sempre quali sono i bisogni dei ragazzi, saper rispondere in modo amorevole ma tenendo presente e spiegando in modo chiaro (a parole e a fatti) il nostro ruolo professionale.
Un educatore non si comporta da amico, fratello, zio...è un educatore, ma non per questo non può amare, dedicarsi, gestire in modo professionale la relazione affettiva.
Spiegare a parole questi concetti è difficile, si rischia di essere semplicisti o troppo complicati.
Credo che crescere professionalmente ci aiuti a capire come muoverci e gestire le relazioni: l'educatore è sempre in navigazione, non smette mai di lavorare su se stesso.


STIMOLAZIONE BASALE

Il mio operare è ormai inevitabilmente legato alla Sb. Da quando l'ho scoperta,conosciuta,studiata e sperimentata è divenuta parte fondamentale della mia professionalità.

Ho notato come anche in comunità l approccio basale sia molto facilitante nella relazione con i ragazzi, nella gestione della quotidianità.
Credo che se gli operatori conoscessero la Sb riuscirebbero a risolvere molte situazioni problematiche rendendo la vita di comunità piacevole e serena nella maggior parte dei momenti.

Ho potuto sperimentarlo anche quest'anno. Nella comunità dove ho lavorato nel mese di agosto ho conosciuto una ragazza che chiamerò Maria ( nome di fantasia).
Vi racconto la nostra esperienza.

Maria e la stimolazione basale.

Maria è una ragazza che vive in comunità, durante il giorno frequenta un CSE- Centro Socio Educativo.
Il suo disagio principale, evidenziato dagli operatori soprattutto del CSE, riguarda il fatto che lei si butta spesso a terra, rendendo difficili gli spostamenti che richiedono così tempi molto lunghi e grande fatica.
Maria è ipovedente, parla molto e presente movimenti incontrollati soprattutto degli arti superiori e della testa.
Attraverso l'osservazione 'basale' noto che il suo problema riguarda principalmente la sfera percettiva. Si autostimola attraverso la logorrea, il canto,i movimenti di braccia e testa e le cadute a terra, probabilmente perchè non percepisce parti di sè ed entra così in uno stato d'ansia e di paura.
Le propongo la stimolazione somatica (pressioni) a livello degli arti superiori e inferiori e un sostegno, accompagnamento rassicurante e stabilizzante negli spostamenti (attraverso il sostegno di mani e braccia e il tocco sulle spalle).
In questo modo Maria appare molto più serena, adeguata, parla meno e affronta gli spostamenti con maggior tranquillità.
Attraverso la Sb si potrebbe aiutarla ad uscire dallo stato di tensione in cui vive la maggior parte del tempo. Sperimentando il rilassamento migliorerebbe la respirazione e di conseguenza l'interazione con compagni e operatori.




  navigazione in corso.....